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Quando pensate al sakè come al “vino” di riso giapponese sappiate che commettete un errore . In realtà il sakè è la parola generica che in Giappone indica l’alcool. Pertanto a voler essere precisi la birra, il whisky, eventuali amari o prodotti fermentati con dell’alcool sono sakè . Quindi si confonde una parte per il tutto. Il vero nome del sakè se volete fare bella figura in Giappone è NIHONSHU(日本酒), dove NIHON(日本) significa Giappone e SHU(酒) alcol, pertanto abbiamo alcol giapponese! Per comodità lo chiameremo comunque Sakè.
Ricetta
Fare il sakè è prima di tutto un’arte che richiede dedizione e passione perché il procedimento per produrlo è molto complicato.
La produzione di sakè inizia con un importante trattamento del riso il quale non contiene zuccheri, o meglio ne contiene una parte molto piccola e che non possono essere digeriti dai lieviti per trasformarsi in alcool. Pertanto il riso appena cotto viene cosparso da una muffa nobile , il koji, un fungo che attacca il riso e che è in grado di trasformare l’amido in zucchero, che solo successivamente grazie ai lieviti diverrà alcol.
Miscela madre
Il fungo per poter operare al meglio deve avere temperatura e umidità entro certi parametri per cui le stanze dove riposa e agisce per 3 giorni, sono sempre meticolosamente controllate. Il successivo passaggio prevede la creazione di una miscela “madre” chiamata shubo, che contiene riso acqua, koji e una alta concentrazione di lieviti, che trasformeranno zuccheri in alcool. Ogni casa produttrice ha il suo lievito, molte usano la medesima tipologia industriale ma alcune usano un loro “lievito” madre tramandato da generazioni.
Spremitura
Questa trasformazione chimica dura tra i 15 e 30 giorni e alla fine porta alla nascita del moromi, ossia la “massa fermentata”. Anche questa è una operazione delicata e lunga che impiega diverse settimane per arrivare alla fine del ciclo che vedrà la vera e propria spremitura per ottenere il sakè che conosciamo. Il metodo tradizionale consiste nel mettere il riso fermentato in sacchi di tela e spremerli o lasciare che per gravità filtri il sakè, invece in quello industriale si usano macchinari appositi che pressano filtrando il moromi.
La penultima fase, è quella della pastorizzazione e successivamente di imbottigliamento. Alcuni tipi di sakè non prevedono questa fase di pastorizzazione e vengono subito imbottigliati. La tipologia in questione è quella dei namazake ma è di difficile reperibilità soprattutto all’ estero perché la mancanza di pastorizzazione non elimina i batteri pertanto deve restare a basse temperature per evitare che vada a male e quindi il fattore temperatura è essenziale.
Scopri i tipi di sakè
Queste sono le fasi principali ma i produttori che usano ancora i metodi tradizionali mantengono al sicuro i segreti tramandati che usano per rendere il loro sakè unico. A chi vuole bere del buon sakè consiglio sempre di assaggiare uno prodotto con il metodo tradizionale…E intanto KANPAI!
Da vedere!
Su Netflix è disponibile un bellissmo documentario sul sakè: The Birth of Saké con i sottotitoli in italiano che fa capire quanto lavoro e dedizione ci vuole per produrre il sakè in modo tradizionale
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Consiglio (perché sono un fan del canale) questo video che spiega un po’ le bevande alcoliche in Giappone: https://www.youtube.com/watch?v=hByt-PVLx3E