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Shojin ryori: la cucina dei monaci buddhisti

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Tempo di lettura: 3 minuti

La cucina giapponese, negli ultimi anni divenuta molto famosa grazie ai suoi piatti emblematici e alle tecniche utilizzate spesso sofisticate e dal risultato molto coreografico, possiede uno stile a parte, che non mette in primo piano la tecnica e il raffinamento bensì l’armonia e il rispetto degli ingredienti che vengono utilizzati. Questa cucina è detta Shojin, la cucina dei templi Zen.

La storia della cucina Shojin ryori

Portata nel XIII secolo dai monaci cinesi in Giappone, questo stile di cucina essenzialmente vegana è consumata da religiosi e credenti nelle zone dell’Asia influenzate dal buddismo cinese. Il suo nome tradotto significa “cucina della devozione” e si basa sul principio buddista che vieta di prendere la vita, infatti oltre a agli animali, in questa dieta sono escluse le piante/radice come patate, cipolle e carote visto che consumarle significherebbe portare la pianta alla morte.

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Le caratteristiche della Shojin ryori

Come la cucina kaiseki, predilige il rispetto delle stagioni e l’utilizzo dei prodotti locali per poter vivere in equilibrio con la natura, ma anche di evitare a tutti i costi gli sprechi, utilizzando per le varie preparazioni parti vegetali come foglie, bucce e radici, generalmente scartate.

Per evitare il disequilibrio dei sensi sono inoltre esclusi ingredienti dall’odore pungente o troppo aromatico, come lo scalogno, l’aglio, le spezie, e ovviamente l’alcool.

Tutte queste restrizioni, non impediscono comunque alla Shojin Ryori di essere bella e ricca di ingredienti e sapori.

I piatti nella cucina Shojin Ryori

In un tempio o in un ristorante che serve questa cucina Zen, assaggeremo spesso del tempura di verdure quali il loto, la zucca o i semi di ginko. Molta importanza ha il tofu in tutte le sue declinazioni (fritto, fresco, in zuppe) e lo yuba, ovvero la fine pellicola che si forma sulla superficie del latte di soia quando lo si riscalda. Piccoli fiori e foglie fanno inoltre da decoro a questi graziosi e salutari piatti. Zuppa di miso e riso bianco sono ovviamente presenti per accompagnare il tutto.

Attualmente in molti posti, l’esperienza Shojin per certi versi è molto simile a quella Kaiseki. Si tratta infatti di un pasto tradizionale giapponese che combina una moltitudine di piccoli piatti eseguiti con differenti modi di cottura per un’esperienza gustativa completa. I due concetti di cucina si combinano a meraviglia visto che la Shojin ryori ricerca l’armonia con la natura negli ingredienti scelti, l’arte del Kaiseki si basa sull’armonia tra i gusti, la consistenza e l’aspetto del cibo, con l’unica differenza che un pasto Kaiseki non deve per forza essere vegano.

Per seguire questa linea che si basa sull’armonia, le varie pietanze sono servite quasi tutte in tazze o piatti di forma rotonda per dare a chi mangia una rappresentazione “cosmica”  del mondo.

Una cucina centenaria che sta pian piano, grazie alle moderne tipologie di alimentazione, ritornando in primo piano e che offre oltre che bellezza e piacere del palato anche indiscutibili effetti benefici per l’organismo.

Non ci resta che provarla…ITADAKIMASU!!!!!

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Alberto Comelato

Alberto Comelato

Cuoco professionista, negli ultimi tempi gironzolo per l’Asia, assaggiando varie specialità. Tra le cucine asiatiche ho assolutamente un debole per quella Giapponese, dove tecnica e rispetto del prodotto si uniscono per creare ad ogni assaggio qualcosa di unico. Ormai da una decina d’anni me ne interesso e la riproduco da autodidatta, appassionandomene sempre un po’ di più.

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